La bastarda degli Sforza (Italian Edition) by Carla Maria Russo

autore:Carla Maria Russo [Russo, Carla Maria]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9788858513071
editore: EDIZIONI PIEMME
pubblicato: 2015-03-30T22:00:00+00:00

L’ordine di Girolamo Riario non mi raggiunse in tempo.

Ero già partita da Imola che, devo ammettere, abbandonai con dispiacere per l’affetto e le grandi accoglienze che mi furono tributate, sebbene l’idea di visitare Roma, la città santa, l’antica capitale dell’Impero, sede di tutti gli studi classici di cui ero appassionata, esercitasse su di me un incredibile fascino e suscitasse la mia viva curiosità. Meno mi attirava la prospettiva di incontrare il papa che, nelle sue untuose missive, mi chiamava “nipote santissima del pontefice” accompagnando l’espressione con mille auspici, benedizioni e cerimoniose perifrasi.

Prima di lasciare per sempre Milano, furono celebrate “le nozze” fra me e Girolamo Riario, per procura e in modo pubblico, questa volta, anche se in tono dimesso e senza festeggiamenti per la recente morte di mio padre.

Con quella ipocrita messinscena si tentava di salvare le apparenze e accreditare la falsa ipotesi che i Riario e gli Sforza avessero rispettato la legge della Chiesa e degli uomini, che prevedeva di tutelare le fanciulle e la loro innocenza almeno fino al quattordicesimo anno di età.

Certo negli annali di corte non sarebbe mai stata narrata la vera e triste sorte di Caterina Sforza, andata sposa a nove anni e stuprata dal marito, o quella di mia zia Elisabetta. Queste storie sarebbero state censurate perché avrebbero gettato discredito sulla famiglia Sforza.

Ma io, durante quella ignobile pantomima, sentii di nuovo il cuore accendersi di rabbia impotente e il corpo bruciare, dolere in ogni punto, come allora.

Rimasi però impassibile, dissimulai la mia ribellione, il mio desiderio di rivolta. Al momento opportuno, si sarebbero resi conto tutti di che pasta ero fatta.

Partii verso l’ignoto – o il ben noto, da un altro punto di vista – il 26 aprile 1477.

Tutti i saluti, gli abbracci, gli addii erano già stati consumati il giorno prima, tutte le lacrime versate e le raccomandazioni scambiate. Non desideravo nessuno dei miei familiari a salutarmi nel momento della partenza, né i miei fratelli, né le mie sorelle, né Lucrezia e Bona. Intendevo rimanere composta e dignitosa, frenando le lacrime. Ero circondata da una numerosa comitiva, tra scorta, dame di compagnia e dignitari di corte, e non intendevo offrire alcuno spettacolo di debolezza.

Fu molto dura resistere alla commozione quando i soldati delle truppe sforzesche, infrangendo ogni cerimoniale, ruppero le righe e mi si fecero dappresso, per un omaggio e un saluto più affettuoso di quello cui erano abituati. Coloro che non riuscirono a sfiorarmi una mano o ad avvicinarsi, picchiarono con le alabarde sugli scudi, cercando di farmi pervenire attraverso quel fragore il loro augurio.

Durante il viaggio, sebbene il seguito di dame al mio fianco si affannasse a riempirmi la testa di consigli e suggerimenti sul modo migliore di comportarmi, fui assalita più volte dalla nostalgia dei miei affetti, da quel senso di separazione, di esilio perpetuo, e soprattutto dalla paura del futuro, in modo intenso e bruciante, tanto che, quando nessuno poteva vedermi, piangevo e bagnavo di lacrime il guanciale. Per costringermi a reagire, mi rimproveravo con asprezza e mi ripetevo

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